Mese: Febbraio 2020
FISCO – È possibile cedere la detrazione sisma bonus in caso di permuta?
FISCO – È possibile cedere la detrazione sisma bonus in caso di permuta?
È possibile beneficiare della detrazione sisma bonus in caso di permuta? Vediamo quanto chiarito in merito dall’Agenzia dell’Entrate grazie all’interpello 354 del 30 agosto 2019.
Detrazione sisma bonus in caso di permuta
L’articolo 16, comma 1-septies del DL 63/2013 disciplina la detrazione che spetta agli acquirenti delle unità immobiliari vendute da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare che abbiano realizzato interventi relativi all’adozione di misure antisismiche attraverso interventi di demolizione e ricostruzione di interi edifici dai quali derivi una riduzione del rischio sismico, determinando il passaggio ad una o a due classe di rischio inferiore.
Per beneficiare della detrazione, la normativa vigente prevede che gli edifici oggetto dell’intervento di riduzione del rischio sismico siano collocati in comuni ricadenti nelle zone sismiche 1, 2 e 3 e che le imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare provvedano, entro diciotto mesi dalla data di conclusione dei lavori, alla successiva alienazione dell’immobile. Chi acquista tali unità immobiliari, quindi, può decide di optare, al posto della detrazione, per la cessione del corrispondente credito alle imprese o privati che hanno effettuato gli interventi. Tale cessione non può essere effettuata a istituti di credito e intermediari finanziari.
Ebbene, nell’interpello 354 del 30 agosto 2019, l’istante ha trasferito con permuta un’immobile ad un’impresa di costruzione che, una volta demolito e ricostruito, consegnerà loro due nuove unità immobiliari. La domanda, quindi, è se è possibile fruire del sisma bonus anche nel caso acquisizione dell’unità immobiliare da parte di un’impresa di costruzione tramite permuta e se è possibile poi cederlo.
L’Agenzia delle Entrate ha quindi ricordato che per molti aspetti la permuta è paragonabile a una vendita e per questo motivo è possibile fruire del sisma bonus. La detrazione, quindi, può essere ceduta, a titolo esemplificativo, nel caso di interventi condominiali, nei confronti degli altri soggetti titolari delle detrazioni spettanti per i medesimi interventi condominiali ovvero, più in generale, nel caso in cui i lavori vengano effettuati da soggetti societari appartenenti ad un gruppo, nei confronti delle altre società del gruppo.
Nel caso in esame, quindi, è facile intuire che l’stante non può acquisire il credito corrispondente alla detrazione spettante alla madre ma tali crediti possono essere invece ceduti alle imprese che hanno effettuato gli interventi, con la facoltà di successiva cessione del credito medesimo.
Contabilità Fiscale– Omaggi e fatturazione elettronica: come funziona?
Contabilità – Omaggi e fatturazione elettronica: come funziona?
È possibile fare un’autofattura per le cessioni gratuite a titolo di omaggio? Vediamo assieme quanto chiarito in merito da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Omaggi e fatturazione elettronica
Con l’arrivo delle festività natalizie è consuetudine fare degli omaggi. Ma come funziona in questo caso la fatturazione? A chiarire questo punto ci ha pensato la stessa ‘Agenzia delle Entrate con la Circolare 14/E/2019.
Generalmente le cessioni gratuite di beni e servizi a titolo di omaggi rientrano nelle fattispecie per cui è facoltativa la rivalsa dell’IVA. Anziché fare fattura verso colui che riceve l’omaggio, infatti, è possibile autofatturare l’operazione.
In particolare, in caso di assenza di rivalsa dell’imposta, anziché emettere una normale fattura, il cedente può decidere di emettere una autofattura, in un unico esemplare per ogni cessione, nella quale deve essere ben esplicito che si tratta di “autofattura per omaggi”. Questo documento deve essere numerato secondo il progressivo delle fatture di vendita e annotato nel registro delle fatture emesse. Deve inoltre indicare il valore normale dei beni, dell’aliquota applicabile e della relativa imposta. Nella fattura elettronica, che deve essere trasmessa al sistema di interscambio, ricordiamo che deve essere utilizzato il codice TD01.
Grazie alla Circolare 14/E/2019, l’Agenzia delle Entrate ha poi precisato che in presenza di autofattura per omaggi ovvero per autoconsumo, i dati del cedente devono essere inseriti sia nella sezione “Dati del cedente/prestatore” sia nella sezione “Dati del cessionario/committente”. In questi casi la fattura, e di conseguenza la relativa imposta, vengono annotati solamente nel registro IVA vendite.
Come fare un’autofattura per omaggi
Ricapitolando, in presenza di cessioni gratuite a titolo di omaggi si deve fare l’autofattura.
La data da indicare è la normale data di emissione e il numero di documento fa riferimento all’ordine progressivo delle fatture di vendita. I dati anagrafici sia del cedente che del cessionario sono sempre uguali a quelli del cedente. Deve essere esplicitamente indicato che si tratta di una autofattura per cessione gratuita di bene e per quanto riguarda la fatturazione elettronica si deve utilizzare il codice TD01. Una volta visto come funziona la fatturazione elettronica per gli omaggi, quindi, non vi resta altro da fare che seguire questi piccoli accorgimenti.
Fisco – Prove per la non imponibilità delle cessioni intracomunitarie : ecco le novità dal 2020
Fisco – Prove per la non imponibilità delle cessioni intracomunitarie : ecco le novità dal 2020
Per anni le istituzioni comunitarie hanno determinato le prove per la non imponibilità delle cessioni definendo le condizioni per esentare dall’IVA le cessioni di beni nell’ambito di determinate operazioni intracomunitarie. Allo stesso tempo, però, non sono mai state specificate quelle che dovrebbero essere le prove documentali necessarie a comprovare la movimentazione della merce. Un aspetto che ha portato spesso a divergenze di approccio tra i vari Stati. Proprio per questo motivo si è deciso di modificare ed integrare il Regolamento UE n. 282/2011 con l’intento di determinare i documenti necessari a comprovare il requisito dell’effettivo trasferimento dei beni da uno Stato membro a un altro.
Prove documentali per la non imponibilità delle cessioni intracomunitarie
Al fine di riuscire a specificare e armonizzare le condizioni alle quali le esenzioni di cui all’articolo 138 della direttiva 2006/112/CE possono applicarsi, grazie al Regolamento di Esecuzione (UE) 2018/1912 del Consiglio del 4 dicembre 2018 è stato modificato e integrato il Regolamento UE n. 282/2011 in modo tale da introdurre alcune presunzioni refutabili, volte a identificare i documenti necessari a comprovare il requisito dell’effettivo trasferimento dei beni da uno Stato membro a un altro.
Ebbene, essendo ammessa la prova contraria l’operatore ha la possibilità di esibire documentazione che dimostri l’infondatezza della presunzione astratta fatta dal legislatore comunitario.
In particolare la Sezione 2 bis inserita nel capo VIII del Regolamento (UE) n. 282/2011 distingue i seguenti casi:
- beni spediti o trasportati dal venditore o da un terzo per suo conto;
- beni trasportati o spediti dall’acquirente, o da un terzo per conto dello stesso acquirente,
prevedendo documentazione di prova differenziata.
Spedizione o trasporto effettuati dal venditore o acquirente
Soffermandoci sulle singole casistiche, è bene ricordare che la documentazione richiesta come elemento di prova della spedizione o del trasporto è la seguente, ovvero una certificazione del venditore che i beni sono stati spediti o trasportati da lui o da un terzo per suo conto. Inoltre deve essere in possesso di almeno due dei seguenti elementi di prova non contraddittori, che devono essere rilasciati da due diverse parti indipendenti sia tra loro che dal venditore e dall’acquirente: documenti relativi al trasporto o alla spedizione dei beni, con firma, polizza di carico, fattura di trasporto aereo oppure emessa dallo spedizioniere;
Nel caso di spedizione o trasporto effettuati dall’acquirente, invece, si deve essere in possesso, da parte del venditore di una dichiarazione scritta dall’acquirente, da fornirsi entro il decimo giorno del mese successivo alla cessione, che certifica che i beni sono stati trasportati o spediti dall’acquirente, o da un terzo per conto dello stesso acquirente. Deve essere inoltre identificato lo Stato membro di destinazione dei beni e tale dichiarazione deve indicare la data di rilascio; il nome e l’indirizzo dell’acquirente; la quantità e la natura dei beni; la data e il luogo di arrivo dei beni; il numero di identificazione del mezzo di trasporto e l’identificazione della persona che accetta i beni per conto dell’acquirente.
Contabilità – Leasing operativo e leasing finanziario: basta differenze
Contabilità – Leasing operativo e leasing finanziario: basta differenze
A partire dal giorno 1 gennaio 2019 è entrato in vigore il nuovo principio contabile internazionale IFRS 16 in materia di leasing, ma di cosa tratta e come funziona? Entriamo nei dettagli e scopriamolo assieme!
Addio alle differenze tra leasing operativo e finanziario
Il 13 gennaio 2016 è stato pubblicato sul portale dello IASB, ovvero International Accounting Standards Board, il nuovo principio contabile internazionale IFRS 16 che andava a sostituire quanto disciplinato dallo IAS 17 in materia di Leasing. Questo nuovo principio è entrato in vigore dal 1° gennaio 2019, concedendo comunque la possibilità di adottarlo dal 1° gennaio 2018, purchè fossero rispettate determinate condizioni.
Ebbene, dovete sapere che grazie a questo nuovo principio viene posta definitivamente fine alla distinzione tra leasing operativo e leasing finanziario, dando il via ad una nuova differenziazione, ovvero quella tra contratto di leasing e contratto di servizi. Una distinzione che deve essere effettuata al momento della prima iscrizione in bilancio, oltre ad essere ovviamente valutata ogni volta in cui si apportano modifiche al contratto.
In particolare, con il principio contabile internazionale IFRS 16 è stato introdotto il cosiddetto concetto del “right of use” (ROU). Quest’ultimo non è altro che il diritto di poter utilizzare il bene, presentandosi come uno degli aspetti principali da prendere in considerazione per poter distinguere un contratto di leasing da uno di servizio.
Contratto di leasing e contratto di servizio
Generalmente ci si trova di fronte ad un contratto di leasing nel momento in cui viene trasferito il diritto di controllare oppure utilizzare un asset godendone dei benefici economici, in base ad alcune modalità o condizioni ben definite. Tra questi, ad esempio, si annoverano la definizione di un determinato periodo di tempo, piuttosto che il pagamento di un corrispettivo.
L’oggetto del contratto, a sua volta, può essere identificato in modo diretto o indiretto nel contratto. Tuttavia, nel caso in cui sul locatore, ovvero il proprietario originario del bene, rimane il diritto di sostituire il bene con un altro, durante la durata del contratto, allora il locatario non è pienamente titolare del right of use sull’asset e si parla di contratto di servizio.
Questo fa capire che alla base del principio right of use vi sono due elementi importanti, ovvero il controllo e l’identificazione del bene. Il controllo conferisce il diritto di dirigere l’utilizzo del bene e di godere dei benefici economici, mentre l’identificazione fa riferimento all’indicazione esplicita del bene oggetto del contratto. Nel momento in cui manca, allora è sottinteso il diritto del locatore di poter sostituire il bene in qualsiasi momento.
Nel caso in cui in un contratto vi siano contemporaneamente il controllo e l’identificazione, allora si può parlare di right of use in capo al locatario e si tratta di un contratto di leasing. Al contrario, se con il contratto viene trasferito il controllo ma non viene esplicitamente identificato il bene, allora si tratta di un contratto di servizio.
FISCO – Prove per la non imponibilità delle cessioni intracomunitarie: ecco le novità dal 2020
FISCO – Prove per la non imponibilità delle cessioni intracomunitarie: ecco le novità dal 2020
Le istituzioni comunitarie hanno fissato le condizioni per esentare dall’IVA le cessioni di beni nell’ambito di determinate operazioni intracomunitarie. Una di queste condizioni consiste nel fatto che i beni vengano spediti o trasportati da uno Stato membro ad un altro Stato. Tuttavia non è mai stato specificato quali prove fossero necessarie per comprovare tale movimentazioni, creando spesso divergenze e incertezze giuridiche.
Proprio per questo motivo, al fine di evitare ulteriori incomprensioni inerenti le condizioni alle quali le esenzioni di cui all’articolo 138 della direttiva 2006/112/CE possono applicarsi, grazie al Regolamento di Esecuzione (UE) 2018/1912 del Consiglio del 4 dicembre 2018 è stato modificato e integrato il Regolamento (UE) n. 282/2011. In questo modo sono state introdotte alcune presunzioni refutabili, volte a identificare i documenti necessari a comprovare il requisito dell’effettivo trasferimento dei beni da uno Stato membro a un altro. Essendo ammessa la prova contraria, inoltre, l’operatore ha la possibilità di esibire documenti che dimostrino l’infondatezza della presunzione astratta fatta dal legislatore comunitario
Le novità in vigore a partire dal 1° gennaio 2020
L’articolo 2 del Regolamento (UE) 2018/1912 entrerà in vigore dal 1° gennaio 2020 e non ha bisogno di alcun provvedimento nazionale di recepimento. Quindi gli operatori dispongono ancora degli ultimi mesi dell’anno per organizzarsi in modo adeguato al fine di rispettare i nuovi obblighi documentali.
In particolare vi interesserà sapere che la Sezione 2 bis inserita nel capo VIII del Regolamento (UE) n. 282/2011 distingue il caso in cui i beni sono stati spediti o trasportati dal venditore o da un terzo per suo conto e il caso in cui beni sono stati trasportati o spediti dall’acquirente, o da un terzo per conto dello stesso acquirente. A tal fine, per ottenere il riconoscimento della non imponibilità dell’operazione, è prevista una documentazione di prova differenziata.
Documentazione per la non imponibilità delle cessioni intracomunitarie
Soffermandoci sulla spedizione o trasporto effettuati dal venditore o da un terzo per suo conto, bisogna essere in possesso di almeno due dei seguenti elementi di prova non contraddittori. Questi devono essere rilasciati da due diverse parti indipendenti sia tra loro che dal venditore e dall’acquirente.
Tra questi si annoverano documenti relativi al trasporto o alla spedizione dei beni, come ad esempio una lettera di vettura internazionale, riportante la firma, una polizza di carico, una fattura di trasporto aereo, oppure una fattura emessa dallo spedizioniere in combinazione con uno qualsiasi dei seguenti elementi di prova non contraddittori che confermano la spedizione o il trasporto rilasciati da due diverse parti indipendenti. Tra questi abbiamo una polizza assicurativa relativa alla spedizione o al trasporto dei beni, ma anche documenti bancari attestanti il pagamento, documenti ufficiali rilasciati da una pubblica autorità, ricevuta rilasciata da un depositario nello Stato membro di destinazione che confermi il deposito dei beni in tale Stato membro.
Per quanto concerne la spedizione o trasporto effettuati dall’acquirente, invece, la documentazione richiesta è costituita dal possesso, da parte del venditore di una dichiarazione scritta dall’acquirente, di cui si deve essere in possesso entro il decimo giorno del mese successivo alla cessione e che certifica che i beni sono stati trasportati o spediti dall’acquirente, o da un terzo per conto dello stesso acquirente, identificando lo Stato membro di destinazione dei beni. Questa dichiarazione deve indicare la data di rilascio, ma anche il nome e l’indirizzo dell’acquirente, quantità e natura dei beni; data e luogo di arrivo dei beni. In presenza di cessione di mezzi di trasporto, bisogna essere in possesso del numero di identificazione del mezzo di trasporto e identificare la persona che ha accettato tale incarico.
Tutto questo deve essere affiancato da almeno due elementi di prova non contraddittori, rilasciati da due diverse e indipendenti parti. Tra questi si annoverano documenti relativi al trasporto o alla spedizione dei beni, come ad esempio un documento o una lettera CMR riportante la firma, una polizza di carico, una fattura di trasporto aereo, in combinazione con uno qualsiasi degli elementi di prova non i che confermano la spedizione o il trasporto, rilasciati da due indipendenti parti, come visto prima.
FISCO – Imposta di bollo e le esenzioni per le ricevute rilasciate dall’ASD
FISCO – Imposta di bollo e le esenzioni per le ricevute rilasciate dall’ASD
Grazie alla risposta all’interpello 361 del 30 agosto 2019, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito all’esenzione o meno dell’imposta di bollo per i corrispettivi corrisposti da associati, tesserati e sui conti correnti per le Associazioni sportive dilettantistiche.
ASD ed esenzione imposta di bollo
In particolare l’interpellante, una società sportiva dilettantistica senza fine di lucro, riconosciuta dal CONI, al momento dell’incasso dei corrispettivi per servizi specifici erogati agli associati, ha sempre emesso ricevuta non soggetta ad IVA, assolvendo l’imposta di bollo.
In seguito alle modifiche introdotte all’articolo 27-bis del DPR 642/72 si è posto quindi il dubbio se le ricevute emesse a fronte dell’incasso dei corrispettivi possano essere considerate esenti dall’imposta di bollo e se tale esenzione possa essere riconosciuta anche ai conti correnti.
Ebbene, l’Agenzia delle Entrate ha quindi voluto ricordare che generalmente l’imposta di bollo è disciplinata dal DPR 642/72. In particolare viene prevista l’esenzione per gli “atti, documenti, istanze, contratti, nonché copie anche se dichiarate conformi, estratti, certificazioni, dichiarazioni e attestazioni poste in essere o richiesti da organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) nonché dalle federazioni sportive, dagli enti di promozione sportiva e dalle associazioni e società sportive dilettantistiche senza fine di lucro riconosciuti dal CONI”.
Soffermandoci al caso preso in esame, quindi, l’esenzione dell’imposta da bollo può essere applicata anche per le ricevute rilasciate dalle ASD e i relativi conto correnti.
Come deliberato dall’Agenzia delle Entrate, in risposta all’interpello, infatti: “Con riferimento al caso di specie, si condivide la soluzione interpretativa prospettata dall’istante, secondo cui l’esenzione prevista dalla norma tributaria sopra citata relativa all’imposta di bollo, possa trovare applicazione con riferimento alle ricevute rilasciate dall’istante; ciò in quanto le medesime ricevute rappresentano un documento con il quale si certificano i servizi specifici erogati agli associati a fronte dell’importo versato dai beneficiari di tali prestazioni. Inoltre, anche con riferimento al secondo quesito si condivide quanto rappresentato dall’istante, vale a dire che gli estratti conto corrente possono fruire dell’esenzione ex articolo 27-bis della tabella allegata al d.P.R. n. 642 del 1972; ciò in quanto l’espressione “estratti” si ritiene possa includere anche i documenti contenenti informazioni in ordine alla gestione finanziaria del conto corrente”.
Contabilità – Ratei e risconti: cosa sono?
Contabilità – Ratei e risconti: cosa sono?
Se siete giunti a leggere questo articolo, quasi sicuramente avete già sentito parlare di ratei e risconti. Due termini spesso sconosciuti ai non addetti ai lavori, che finiscono per creare qualche perplessità. Tranquilli, oggi, infatti, vedremo assieme di cosa si tratta e come contabilizzarli.
Ratei e risconti secondo il codice civile
I ratei sono quote di entrate o uscite future grazie ai quali è possibile misurare ricavi o costi già maturati, ma non ancora rilevati, poiché la loro manifestazione finanziaria si verificherà in esercizi futuri. I risconti, invece, sono quote di costo o di ricavo non ancora maturate, ma che hanno già avuto la loro manifestazione finanziaria.
In ragioneria i ratei ed i risconti vengono quindi utilizzati per garantire l’attuazione del principio di competenza economica. Questo comporta il dover contabilizzare costi e ricavi nel momento in cui gli stessi vengono a maturare, a prescindere dall’effettiva manifestazione finanziaria degli stessi.
In particolare, in base a quanto previsto dall’articolo 2424 bis comma 5 del codice civile: “I ratei attivi e passivi sono rappresentati da:
quote di ricavi (o di costi) di competenza dell’esercizio ma esigibili in esercizi successivi;
comuni a due o più esercizi;
la cui entità varia in ragione del tempo.
I risconti attivi e passivi, invece, sono rappresentati da:
ricavi percepiti o costi sostenuti entro la fine dell’esercizio (anno di riferimento) ma di competenza dell’esercizio successivo;
comuni a due o più esercizi;
Come contabilizzare ratei attivi e passivi
Una volta chiarito quanto previsto dal codice civile, vediamo invece come contabilizzare queste voci, facendo dei piccoli esempi.
Partiamo dai ratei attivi. Ebbene, immaginate degli interessi attivi bancari per euro 100 che maturano in conto corrente con competenza IV trimestre 2019. Questi interessi verranno accreditati in molti casi a inizio gennaio 2020. Come fare per contabilizzare correttamente tale situazione? Bisogna considerarlo un ricavo di competenza del 2019 o del 2020?
Come è facile intuire, si tratta di un ricavo di competenza 2019 e proprio per questo motivo bisogna utilizzare il rateo attivo per imputarne correttamente l’importo.
Al 31 dicembre, quindi, bisogna fare la seguente scrittura.
Ratei attivi a interessi attivi su c/c bancari
Per quanto concerne le voci di costo, quali commissioni e spese bancarie, invece, bisogna utilizzare la voce ratei passivi. In questo caso, infatti, la registrazione contabile da effettuare al 31 dicembre sarà:
Commissioni e spese bancarie a Ratei Passivi
In entrambi i casi appena illustrati si è proceduto a contabilizzare un costo e/o ricavo di competenza dell’anno precedente, ma con manifestazione finanziaria in quello successivo. Quando nel 2020 procederemo a contabilizzare l’entrata e/o l’uscita di banca, quindi, non dovremo utilizzare un conto di natura economica ma spegnere il precedente conto accesso come rateo attivo o passivo.
Ritornando al caso sugli interessi attivi bancari, ad esempio, immaginiamo che l’accredito avvenga il 10 gennaio. In questa data, quindi, faremo la seguente scrittura in partita doppia:
Diversi a Ratei attivi
Banca x c/c
Erario c/ritenute subite
Come contabilizzare risconti attivi e passivi
Passiamo quindi ai risconti attivi e passivi. In questo caso facciamo il classico esempio dell’affitto.
Ipotizziamo di pagare in anticipo ed in data 1/12/2019 l’affitto trimestrale del capannone aziendale. L’importo pagato è pari ad euro 3.000. In questo caso il costo non è tutto di competenza del 2019, ma solo in parte. Facendo l’opportuna proporzione, infatti, è facile intuire che il canone compete per un mese, quindi 1000 euro al 2019, per gli altri due mesi, invece al 2020.
Al fine di imputare correttamente tale costo bisogna quindi stornare il conto fitti passivi per la quota di 2/3 che è di competenza dell’anno successivo. La scrittura in partita doppia pertanto sarà:
Risconti attivi a fitti passivi 2.000
Il conto fitti passivi, inizialmente aperto per euro 3.000 in dare, viene quindi ridotto ad euro 1.000 in seguito alla contabilizzazione del risconto. L’anno seguente, al momento della riapertura dei conti in data 1 gennaio, bisognerà imputare il costo considerato spegnendo il conto risconti attivi.
Fitti passivi a risconti attivi 2.000
Per vedere come funzionano i risconti passivi, non bisogna fare altro che l’esempio contrario a quello appena proposto. Anziché immaginare dei fitti passivi, infatti, consideriamo quelli attivi. Basta invertire le voci e scrivere riscontri passivi: il gioco è fatto.